La poliedrica personalità di Federica
Gumina
Il battesimo del fuoco Federica Gumina ha scelto di farlo
presso il Teatro Manhattan, minuscolo salottino retrò incastonato fra i
vicoli del quartiere Monti a Roma. Pochi posti e spazio gremito per la prima
rappresentazione teatrale di Riccicapricci!
con la regia di Paolo Orlandelli. Un
buio luce ed eccola apparire in scena, occhioni sgranati, una montagna di
riccioli neri e un orsacchiotto fra le mani: è una bambina che parla con la sua
mamma. Fa domande semplici, esige risposte agli epocali quesiti dei piccoli,
quel tipo di interrogazioni che il mondo dei grandi, spesso impreparato e
disattento, liquida sommariamente.
La cifra stilistica che Federica
Gumina, autrice e interprete del testo, ha utilizzato per l’intera
rappresentazione è stata la doppia lettura della realtà: indagare l’ovvio
esasperandolo in chiave comica. Un canovaccio perfettamente strutturato con
tutti i crismi del teatro di rivista di altri tempi.
Il cruccio della bambina è tutto
nei suoi capelli, tanti, gonfi, crespi. Troppo ingombranti, talmente
ingombranti da impedire la chiusura del cofano della macchina. Le risposte
della mamma, voce fuori campo dell’attrice stessa, sono vaghe e vagamente
rassicuranti: figurarsi se i capelli sono un problema! E a questa età poi!
È la storia del fardello di insicurezze che si cominciano ad affastellare in
noi fin da piccoli, quando le sproporzionate dimensioni della realtà rendono il
confronto con il mondo faticoso, spiacevole, buffo. Una piccola tragicommedia.
Federica Gumina sfoggia
eccezionali doti di trasformismo passando da un personaggio all’altro. Segue il
filo rosso della sua personalissima indagine all’interno di una illogica
quotidianità che deve necessariamente passare per normalità, complici i tempi,
i ritmi, il retaggio culturale imposto da modelli errati ed esagerati, talmente
surreali da divenire macchiette. E l’attrice ci gioca perché conosce la materia
a menadito e azzarda riletture canzonatorie, divertendo e divertendosi, con acume
e perspicacia. I cambi di scena avvengono in luce; la solista-trasformista non
perde mai di vista il pubblico, lo catalizza con una mimica facciale pregna di
gigioneria e ammiccamenti che sortiscono l’effetto sperato.
Le parrucche sono il tratto
distintivo di ogni differente personaggio. Federica ne indossa una rossa e
diviene la donnina del prurito, una poveretta che si gratta senza sosta mentre
racconta la propria storia, una concatenazione di sfortunati eventi costellati
da un marito fedigrafo, un frigorifero vuoto e una corsa in ospedale. E anche
qui una domanda epocale: incapaci di reagire ai soprusi della vita, deleghiamo
al nostro corpo il compito di “parlare”, fosse anche per mezzo di un pizzicore?
Una parrucca bionda trasforma
l’attrice prima nella Dottoressa Lina
Penice, ammiccante, eccessiva, un esilarante e dichiarato stereotipo, un
involontario omaggio alla Edwige Fenech della commedia sexy. Poi il
registro cambia e irrompe sulla scena un’estemporanea insegnante di danza, un
mix di cafonaggine e argomentazioni spicce rese da un colorito dialetto romano
che l’attrice riesce a padroneggiare senza mai scivolare nell’esagerazione, pur
sollevando grande ilarità e apprezzamento nel pubblico. Perché, se è vero che
quotidianamente capita di imbattersi in persone che improvvisano un mestiere,
raramente capiterà di imbattersi ancora in una insegnante che educa le piccole
allieve al grand jeté come se saltassero
una merda di cane!
Un caschetto di capelli bianchi
trasformano Federica Gumina in una vecchietta sprint, che armeggia sulla scena
con un sacchetto di arance e si chiede come sia possibile condannare un
ragazzino di 54 anni, quel suo caro figliuolo che senza intenzioni malvagie ha
svaligiato una banca. Che mondo!
Chiude la saga la bambina riccia
di inizio spettacolo; ormai adulta e libera di poter disporre della propria
chioma, si rende conto che lisciarsi i capelli per uniformarsi al mondo è stato
un grave errore. Che l’essere al di fuori del coro non è necessariamente un
male; è altresì un valore aggiunto per coscienze sopraffini.
Uno spettacolo denso di testo e
rimandi interpretativi, sempre godibile e mai prolisso. All’autrice-interprete
il merito di aver saputo tener le fila di tante sfaccettate personalità, con
garbo, maestria e perfetta presenza scenica.
Pamela Del Grosso
28 giugno 2013
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