Con
ostinazione e laboriosità, l’artista ha saputo tenere le fila di un discorso
iniziato come un lavoro corale e culminato nell’assolo di un unico attore in
scena, creando, per l’occasione, uno spazio sacrale in cui accogliere gli
spettatori.
Il corpo di questo one man show è forgiato ed educato secondo i rigidi precetti del
training; lo si percepisce dai movimenti, dalle partiture fisiche che
raccontano, ammaliano, escludendo a priori una voice over di cui non si avverte la mancanza. Tre storie di ordinaria
follia, di malattia mentale; tre esistenze
raccontate seguendo la consecutio
temporum della pazzia. La pazzia dei gesti negati, la pazzia della
burocrazia che fagocita la vita; l’insana voglia di normalità.
Vonella
legge una lettera, unico struggente stralcio di un amore nato tra le pareti
bianche dell’Istituto. Si tratta semplicemente di esseri umani. La demenza non
c’entra.
Ci racconta,
poi, di una donna e della creatura che ha partorito. L’attore utilizza parole
lievi e cantilenanti e quel che di ritorno arriva è la sensazione di essere in
un sogno, come se fossimo stati presi tutti per mano e condotti in una bolla di
sapone, per vedere finalmente cosa davvero si cela dietro la convenzione, il
conformismo, la paura. Vonella ha la straordinaria capacità di distogliere lo
sguardo dello spettatore dall’ovvio, dalla prima interpretazione, facile e
scontata. Una donna affetta da malattia mentale che partorisce è in prima
istanza una madre. Quali travagli, quanti interrogativi, quali indescrivibili
emozioni deve provare, deve aver provato? Esattamente gli stessi di una donna
che è madre al di fuori dell’Istituto. E così tutto torna e si confutano alcune
delle basilari ipocrisie che reggono gli impianti della società.
Una società
amara, la stessa che prende a schiaffi il protagonista dell’ultimo racconto; un
uomo intriso di poesia che si scontra con una realtà negligente e sterile,
perché vincolata dalle norme della morale benpensante.
Il
controcanto di quanto avviene in scena è affidato alla musica; Venditti,
Pavarotti, Marlene Kuntz. Registri così profondamente diversi che si fondono
nell’alchimia del racconto, tracciandone l’incedere nota dopo nota. È anche
servendosi della musica che Luca Vonella realizza immagini forti, evocative; è
l’attore dilatato, marionetta del suo stesso pensiero che si palesa in forme
nitide e riconoscibili.
Un discorso
lucido e un ragionamento profondamente laico sono i parametri che regolano il
percorso di Vite Nude, affinchè la
cultura della guarigione sovverta lo stigma della malattia mentale. Perché
guarire si può, Luca lo ha imparato e lo asserisce chiaramente: guarire è
possibile, significa divenire autonomi.
Pamela Del Grosso
4 luglio 2013
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