martedì 25 novembre 2014

Il doppio del teatro che tutto contiene

Carlo Quartucci e Carla Tatò al  Roma3 Film Festival
 
 
 
Così poco ortodossi, avvezzi alla decontestualizzazione dell'ambiente in cui si muovono; irriverenti, di quella originalità che puzza ancora dell’odore buono della cantina. La cantina per antonomasia, cioè quella del Teatro classe 1960; quella degli esperimenti, della rivoluzione, dell’incertezza della meta e della convinzione delle idee, così stravaganti, necessarie e vitali.

Carlo Quartucci e Carla Tatò presentano al Roma3 Film Festival Suena Quijano nella città, una lunga dimostrazione di un sogno in fieri, un atelier del laboratorio di Arti Sceniche che ha coinvolto gli studenti dell’Università Roma Tre e che ha già calcato importanti palcoscenici della realtà romana, dal Teatro India al Teatro Argentina.

Un doppio sogno lo definisce Carlo Quartucci, il doppio del teatro che tutto contiene, il teatro come promulgatore di ogni cosa. Un luogo fisico, tangibile, materico, dove tutti sono attori, dallo scenografo allo spettatore, in una grande caotica contaminazione sovrapposta.

Lo spazio della Sala Columbus sembra quasi non riuscire ad arginare gli accadimenti che si susseguono in un andirivieni di voci e gesti; Giovanna Famulari al violoncello crea un tappeto musicale che scandisce il tempo di questa lucida follia.

Sul fondo scorrono le proiezioni di eventi passati: Suena Quijano al Teatro India, la costruzione dell’invisibilità alla Sinagoga di Ostia, un’intervista del 1968, Quartucci e Tatò all’opera con i fratelli Colombaioni.

Le parole dei più grandi cantastorie animano le azioni: Borges, Marlowe, Beckett. Accanto a loro la cantora per eccellenza, Carla Tatò, recita, legge, interpreta. Una Maga Circe non contemporanea, esattamente scolpita nella sua età granitica come le torri di pietra che declama; una Cassandra amplificata dentro la sua stessa portentosa voce.

Una scena che non è scena ma fucina di suono, gesto; lo sciabordio del mare nella parola della cantora è reale e riempie ogni dove.

 Gli studenti-attori corrono, leggono, suonano, si cimentano in esercizi di giocoleria, sperimentano equilibri; le maestranze si muovo nello spazio scenico allo stesso modo degli attori, riprendono e fotografano tutto. Si aggira fra di loro addirittura la donna monitor, una ragazza che filma ogni cosa per mezzo di una telecamera. Le immagini che cattura scorrono simultaneamente su uno schermo attaccato alla sua schiena, un marchingegno leonardesco che catalizza l’attenzione dello spettatore, sedotto e ammaliato da questa realtà filtrata.

Ne consegue una convergenza e una commistione di generi, tecniche e ruoli. Attorno a questi perni ruota l’interesse e l’attenzione di Quartucci e Tatò che, a tal proposito, hanno allestito questo caleidoscopico campo di ricerca, utilizzando la Pentesilea di Kleist come un faro nella notte, quella stessa Pentesilea che Kleist aveva immaginato in viaggio.

 Raimondo Guarino chiede provocatoriamente se tutto questo non sia, alla fine, solo arte impura o l’espressione dell’incontro-scontro fra tecnica e procedure ancestrali. Come Terenzio argomentò di fronte ai grammatici in difesa del proprio lavoro, così Carlo Quartucci risponde dicendo che si tratta semplicemente di contaminazione, che è di per sé una procedura impura in quanto violazione della matrice.

Una bellissima esortazione di Carla Tatò chiude l’incontro: “Abbandonate la drammaturgia dell’azione e anelate alla drammatizzazione del gesto e dell’immagine. Gli attori dovrebbero, come Enea, avere il coraggio di abbandonare la propria terra e andare, vivere, lavorare”.

 
Pamela Del Grosso

9 giugno 2013
ROMA3 FILM FESTIVAL, edizione 2013

Sala Columbus
Via delle Sette Chiese 101 d, Roma

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