giovedì 20 novembre 2014

Il corpo parlante di Azzurra De Zuanni


Arti Illesi, compagnia di teatrodanza composta da Daniele Sterpetti e Azzurra De Zuanni, porta in scena alla Centrale Preneste Mielina mon amour/Io e il il mio sistema nervoso, nell’ambito della rassegna inFest, festival di teatro, danza e musica.

 


Azzurra De Zuanni racconta una genesi; lo fa in maniera chiara ed intellegibile utilizzando il proprio corpo, depositario di un messaggio che si palesa in una gestualità fluida e armoniosa. La sequenza è divisa in tre quadri scanditi da cambi di luce sapientemente scelti e corroborati dalla musica, la quale dà sostanza e forma alle scelte drammaturgiche.

 

L’idea di narrazione si fa strada e si afferma nel brevissimo tempo dell’accadimento, trenta minuti appena. Una camicia di forza imbriglia e avviluppa il corpo della danzatrice;  Azzurra De Zuanni si muove spasmodica, i gesti mirano alla liberazione. Ė una nascita, è una conquista.

Quell’essere, non più embrione, acquisisce la consapevolezza del proprio corpo, del proprio essere qui ed ora; riconosce la propria prigione per poi abbandonarla. Una musica incalzante, come il battito di un cuore, accompagna il vibrarsi nell’aria dei movimenti, finalmente ampi e liberi.

La danzatrice sperimenta condizioni di equilibrio, manifesta il piacere della scoperta, del nuovo, fino all’ultimo, definitivo, cambio di luce: la camicia di forza diviene ora un camice, una divisa indossata con sicurezza, energia, decisione. Azzurra De Zuanni si muove vigorosa, fiera, spavalda, la scena le appartiene; ma è solo una condizione precaria. Quell’essere in divenire è ora più che mai vittima del proprio sistema nervoso;  non può far altro che accartocciarsi su se stesso, tornare nelle tenebre che poco prima lo avevano partorito. Il delirio di onnipotenza è sedato. Il cortocircuito si è compiuto.

 

La misura è la caratteristica che maggiormente appartiene al lavoro di Arti Illese: un happening sapientemente costruito e accuratamente dosato.

Un messaggio da portare via senza poter scegliere. Una metafora tutt’altro che criptica. Le prigioni vere ed immaginarie che affliggono l’uomo vengono infatti rappresentate nella loro semplice crudeltà, senza velleità ballettistiche, con la convinzione e la forza della linearità, caratteristica non sempre scontata in un terreno particolare e particolareggiato come quello del teatrodanza, dove il rischio dell’autoreferenzialità è sempre in agguato.

 

Pamela Del Grosso
 
Centrale Preneste, Roma
Rassegna teatrale InFest
12 maggio 2013
 

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